Magritte, Mania di grandezza
Non è a forza di scrupoli
Che un uomo diventerà grande.
La grandezza arriva,
a Dio piacendo,
come un bel giorno.
A. Camus
Magritte, Mania di grandezza
Non è a forza di scrupoli
Che un uomo diventerà grande.
La grandezza arriva,
a Dio piacendo,
come un bel giorno.
A. Camus
Don Giovanni, Non mi dir ben mio
(..)Mozart osserva e descrive l’umano con una fedeltà fortissima: sente che nel reale c’è qualcosa che attrae e lui cerca questo ovunque. La sua musica accende il nostro desiderio di vita e di bellezza. Mozart afferma sempre altro da sé. Descrive solo quello che ha visto. Non crea nulla. Si prende cura di quello che c’è: la fedeltà di un servo (Leporello), la dolcezza di uno sguardo di una donna innamorata (l’Agnus Dei della Messa dell’Incoronazione o la Contessa nelle Nozze, è lo stesso), il Mistero dell’Incarnazione (nella K 427). La bellezza non lo ha mai spaventato o imbarazzato. Non lo ha mai messo a disagio perché ne era indegno, immorale, perché mai se la sarebbe meritata (Giussani, al riguardo, scrive: «Mozart era un figura piena di incoerenze e di umani limiti»). Ha invece sempre cercato la bellezza. E quando l’ha trovata e riconosciuta, non l’ha più abbandonata: il volto (e la voce!) delle donne che popolano il suo teatro; la tremenda maestà dell’Onnipotente, la febbre di vita e di conoscenza del Flauto Magico. Mozart guarda e segue l’attrattiva del reale. Ascoltando la sua musica Mozart ci fa amare Cristo e la Madonna come non accadeva da secoli. La musica che ha scritto è la domanda del Buon Ladrone, è l’affermazione del centurione, è lo sguardo affettuoso della Samaritana e il pianto della Maddalena. Non definiti dai propri limiti, ma affidati completamente allo straordinario che hanno incontrato.
01/06/2006, Tracce pp 80
«La tristezza è una nota inevitabile e significativa della vita, perché nella vita, in ogni suo momento tu hai la percezione di qualcosa che ancora ti manca; la tristezza è un’assenza sofferta.
Che cosa rende buona la tristezza? Riconoscerla come strumento significativo del disegno di Dio. Il disegno di Dio implica questo: che la vita sia sempre, in qualsiasi caso … soggetta alla percezione di qualcosa che manca. Ed è provvidenziale questo … Che la vita sia triste è l’argomento più affascinante per farci capire che il nostro destino è qualcosa di più grande, è il mistero più grande. E quando questo mistero ci viene incontro diventando un uomo, allora questo fascino diventa cento volte più grande. Non ti toglie la tristezza, perché il modo con cui Dio diventa uomo è tale che l’hai senza averlo, l’hai già e non l’hai ancora. … Non lo vediamo – io non vedo Lui come vedo te – , so che Lui è qui perché ci sei tu, perché ci siamo noi …
La tristezza è la condizione che Dio ha collocato nel cuore dell’esistenza umana, perché l’uomo non si illuda mai tranquillamente che quello che ha gli può bastare.
La tristezza è parte integrante, non della natura del destino dell’uomo, ma dell’esistenza dell’uomo, cioè del cammino al destino, ed è presente ad ogni passo. Quanto più questo passo è bello per te, quanto più è incantevole per te, quanto più è tuo, tanto più capisci che ti manca quello che più aspetti».
(Luigi Giussani, Si può vivere così?, p. 338)
foto presa dal web
Amore
di George Herbert (1593-1633)
L’Amore mi accolse; ma l’anima mia indietreggiò,
colpevole di polvere e peccato.
Ma chiaroveggente l’Amore, vedendomi esitare
fin dal mio primo passo, mi si accostò con dolcezza,
domandandomi se qualcosa mi mancava.
“Un invitato” risposi “degno di essere qui”.
L’Amore disse: “Tu sarai quello”.
Io, il malvagio, l’ingrato?
Ah, mio diletto, non posso guardarti.
L’Amore mi prese per mano, sorridendo, rispose:
“Chi fece quest’occhi se non io?”
“E’ vero, Signore, ma li ho insozzati;
che vada la mia vergogna dove merita”.
“E non sai tu” disse l’Amore “chi ne prese il biasimo su di sè?”
“Mio diletto, allora servirò”.
“Bisogna tu sieda, ” disse l’Amore “che tu gusti il mio cibo.”
Così sedetti e mangiai.
Piero Guccione, Incontro sulla spiaggia
(..) Sbigottimento. Panico. Orrore, addirittura. Queste sono le sensazioni che Chrétien lega alla contemplazione del bello nelle sue poetiche parole (“L’effroi du beau”, “lo sgomento del bello”, è il titolo originale del volume). Proprio perché ferisce, la bellezza ci cambia, inevitabilmente. E mai più potremo guarire. Il parallelo con la conversione, che ha operato in Chrétien il cambiamento supremo, sorge a questo punto doveroso. Ex militante della Gioventù rivoluzionaria comunista, nome noto e attivo negli ambienti di sinistra, Chrétien abbandona la politica e ritorna in modo straordinariamente consapevole alla fede delle sue origini e mette in gioco il suo stesso pensiero informandolo della responsabilità sull’essere e sul logos acquisita con la conversione. Soprattutto Platone e il suo Fedro, ma anche Dante, Pascal, Dostoevskij vengono in questo saggio evocati a testimoniare i doni della bellezza, che hanno il sapore d’un terribile splendore e sono dunque sempre incommensurabili. Se esiste una prova umana del bello, è che esso ci solleva dalla nostra umanità e benevolente si “dimostra” proprio quando rende l’uomo l’unico essere ricettivo alla sua presenza. Se esiste una reazione consona all’interdizione provocata dalla bellezza è il silenzio, l’unico canto possibile di fronte all’esaltazione è un canto impossibile.
© – FOGLIO QUOTIDIANO
La giovane e piccola speranza. Essa è essenzialmente la contro-abitudine. E così essa è diametralmente e assialmente e centralmente la contro-morte. Essa è la fonte e il germe. Essa è lo sgorgare e la grazia. Essa è il cuore della libertà. Essa è la virtù del nuovo e del giovane.(..)
Charles Peguy
I semi di speranza
Peter Szumowski
Renoir
Cristo non è “qualcosa” di giustapposto, ma è “qualcosa” dentro”: dentro la tua gioia, dentro la tua stanchezza, dentro la tua connivenza o la tua convivenza, dentro la tua repulsione o dentro la tua simpatia. La coscienza del Mistero presente rende la nostra vita un flusso continuo di novità.Con il riconoscimento di questa drammatica presenza, con questa presenza in cui abita corporalmente la divinità, “inizia” qualcosa di nuovo: oggi, alle undici,all’una,alle sei, alle dieci; domani, alle tre, alle quattro. In qualsiasi momento inizia qualcosa di nuovo.
Luigi Giussani
Lorenzo Lotto
Tratto dal Volantone di Natale 2011di Comunione e Liberazione
Kandinsky
«Ebbene, da quella risata mi sentii ferire all’improvviso come non mi sarei mai aspettato che potesse accadermi in quel momento…: ferire addentro in un punto vivo di me che non avrei saputo dire né che né dove fosse; […] un “punto vivo” in me s’era sentito ferire così addentro, che perdetti il lume degli occhi» .
E più avanti dice:
«Quel punto vivo che s’era sentito ferire in me… era Dio senza alcun dubbio: Dio che s’era sentito ferire in me, Dio che in me non poteva più tollerare che gli altri a Richieri mi tenessero in conto d’usurajo».
Pirandello, Uno, nessuno e centomila